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Azzera la bolletta

Diritti umani

12 Novembre 2020. Centenario dello Stato libero di Fiume  

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Cio’ che poteva essere e non fu.

di Rodolfo Decleva

Fu il 12 Agosto 1920 che Gabriele D’Annunzio proclamò la Reggenza Italiana del Carnaro occupando le isole croate di Veglia e Arbe, per conto del Re d’Italia malgrado il suo augusto rifiuto, e che successivamente Italia e Jugoslavia il 12 Novembre 1920 – rinunciando entrambe alla città contesa – firmarono il Trattato di Rapallo nella Villa Spinola di San Michele di Pagana con il quale costituirono lo Stato Libero e  Indipendente di Fiume che si estendeva dal fiume Eneo a levante sino a Volosca a ponente,  “impegnandosi a rispettarlo in perpetuo”.

Due eventi che si aprirono in parallelo concludendosi con la lotta fratricida del  Natale di Sangue tra regolari dell’Esercito Italiano e i Dannunziani.

Gabriele D’Annunzio lasciò la città il 12 Gennaio 1921 dove la popolazione era ancora spaventata dalle sue nuove proposte sociali e libertarie, che avevano fatto affluire in città anarchici, comunisti, fascisti, arditi, intellettuali, esaltati di ogni genere oltre che giovani affascinati dal cambiamento che originava dall’esperimento fiumano. Un mondo foresto, disordinato e violento che niente aveva da spartire con i fiumani e che vi avevano facile accesso non essendo controllati i confini malgrado i blocchi navale e terrestre. La stessa sicurezza dei cittadini si sentiva seriamente pregiudicata mentre languivano le attività economiche e quelle portuali.

A capo degli autonomisti fiumani era Riccardo Zanella, leader del Partito Autonomista costituito da Michele Maylender sin dal 1896 durante il periodo ungherese.

Già tre mesi dopo l’arrivo festoso di D’Annunzio a Fiume, l’Idillio tra lui e i fiumani si era spento quando il Consiglio Nazionale Italiano di Fiume – ripristinato nelle sue funzioni dallo stesso D’Annunzio – votò con una maggioranza di 48 voti a favore e 6 contrari una nuova proposta del Governo Nitti che nei fatti portava alla fine dell’esperienza dannunziana, che veniva liberata dal giuramento “Fiume o Morte”.

E così – essendo intervenuto il nuovo Trattato di Rapallo tra Italia e Jugoslavia, in data 24 Aprile 1921 i fiumani furono chiamati ad un referendum pro o contro lo Stato Libero.

Quando in città si sparse la notizia che stavano vincendo gli autonomisti, i Dannunziani e gli Irredentisti guidati da Riccardo Gigante – già Sindaco di Fiume nel periodo dannunziano – e fascisti triestini guidati da Francesco Giunta invasero i seggi e bruciarono le urne, ma il gesto fu inutile perché i Verbali delle votazioni erano già in mano notarile.

Riccardo Zanella vinse in città con 4482 voti contro 3318 e nel territorio fiumano i voti furono 1632 voti contro 122: in totale, 6114 fiumani a favore dello Stato Libero contro 3440 per l’annessione all’Italia.

Fu una vittoria schiacciante grazie anche ai croati fiumani e ai fiumani di altre nazionalità che votarono per lo Stato Libero per non diventare italiani.

Ma passarono solo pochi altri giorni che gli Irredentisti con un colpo di mano si impadronirono del Municipio nominando un Governo Eccezionale con a capo Riccardo Gigante.  Questo fatto costrinse gli esponenti dell’autonomia a fuggire a Buccari (Bakar) nel vicino territorio croato. Era il 27 Aprile 1921, ma il fermo intervento del Commissario Straordinario Caccia Dominioni, in rappresentanza del Governo italiano, indusse Gigante a sospendere la violenta illegalità e consegnare il potere al nuovo sindaco Salvatore Bellasich subito il giorno successivo.

Rientrati a Fiume gli autonomisti, si procedette quindi alla formazione di un Governo Provvisorio dello Stato Libero e finalmente il 5 Ottobre 1921 si giunse alla nomina di una Assemblea Costituente che elesse a Presidente Riccardo Zanella, il quale trovò da subito il suo compito molto difficile.

E mentre quotidianamente scoppiavano i disordini in città.

L’incidente più grave avvenne il 27 Giugno 1921 quando si venne a sapere che il Porto Baross (scalo legnami del porto di Fiume) e il Delta dell’Eneo sarebbero stati assegnati alla futura Jugoslavia in cambio della sua rinuncia su Fiume. Ci furono 5 morti tra i civili, uccisi dagli Alpini italiani, tra cui il giovane Glauco Nascimbeni, al quale poi venne intitolata una strada.

Mentre la Jugoslavia rispettava lealmente le clausole del Trattato sottoscritto, l’Italia manteneva in loco il suo esercito dove il Gen. Luigi Amantea – nominato dal Re Alto Commissario di Fiume – si impossessava della Stazione e di tutto il patrimonio ferroviario e marittimo bloccando in tal modo ogni tentativo di far arrivare investimenti esteri alla disastrata economia fiumana impedendo inoltre anche l’esecuzione dei contratti già firmati dal Governo fiumano tra cui quello con la Standard Oil Company del magnate Rockefeller.

E mentre i lavori dell’Assemblea Costituente proseguivano con lentezza e crescevano le difficoltà a causa dei boicottaggi dannunziani, gli scontri e le violenze stavano diventando ormai sempre più frequenti.

Nei primi tre mesi del 1922 la situazione precipitò: il 28 Febbraio la Guardia fiumana di Zanella uccise in uno scontro il Legionario Alfredo Fontana, il primo Marzo fu sequestrato dai fascisti un giovane fiumano e il 2 Marzo venne ucciso da ignoti un giovane fascista pisano. E ciò in aggiunta a tante altre violenze.

Tutti questi disordini erano concertati dagli oppositori dello Stato Libero e in particolare dal Ten. Ernesto Cabruna, Medaglia d’Oro per memorabili azioni di battaglie aeree nel corso della Grande Guerra, e in seguito Medaglia d’Oro al Valore Fiumano. Una Via di Genova Quinto è a lui intitolata. Era stato Gabriele D’Annunzio ad affidargli l’incarico di operare a Fiume per completare positivamente l’Impresa iniziata a Ronchi.

E così il Ten. Cabruna il 3 Marzo 1922 organizzò un’azione armata contro Zanella prendendo spunto dall’uccisione del Legionario Fontana.

Dopo 6 ore di disperata resistenza, quando le cannonate dei rivoltosi stavano arrivando sul Palazzo del Governatore, il Presidente Riccardo Zanella si arrese e dopo avere firmato due lettere di dimissioni fu prelevato e portato a Pola insieme al suo Ministro dell’Interno Mario Blasich. Qui fu poi rimesso in libertà e attraverso varie peripezie egli potè ricongiungersi con i circa 3.000 autonomisti che si erano rifugiati in territorio croato nella zona da Sussak a Buccari per sfuggire alle violenze fasciste. A seguito di un nuovo attentato, fortunatamente sventato contro la sua persona, Zanella e i suoi Ministri si spostarono a Portorè (Kraljieviza) dove rimasero isolati e in precarie condizioni economiche.

Si concluse così la breve vita dello Stato Libero fiumano nato il 12 Novembre 1920, vittima di un Colpo di Stato orchestrato dagli Irredentisti fiumani, supportato in massima parte dal neo costituito Fascio triestino, con l’intervento di tre Deputati fascisti del Parlamento italiano ( G.B. Giuriati, Alberto De Stefani e Francesco Giunta) e con la connivenza delle Forze militari italiane alle quali erano affidati l’ordine e la protezione. Il determinante apporto triestino ai disordini fiumani fu dettato dalle grandi preoccupazioni triestine per la perdita di traffici che sarebbero sopravvenuti a seguito del prevedibile sviluppo dell’emporio fiumano.

Il Presidente Riccardo Zanella non rientrò mai più a Fiume. Visse a Belgrado sino all’assassinio di Re Alessandro di Jugoslavia e – non sentendosi più al sicuro perché controllato in quanto antifascista – si trasferì a Parigi. Con la caduta della Francia nella seconda Guerra Mondiale, venne arrestato su segnalazione di Roma e internato nel Campo di Disciplina di Le Vernet nei Pirenei per 13 mesi, dove anche un altro fiumano, Leo Valiani, aveva fatto la stessa esperienza. Al termine del secondo conflitto mondiale si trasferì a Roma dove cercò di salvare le sorti della nostra sfortunata città. Costitui’ un Ufficio di Fiume in Via dei Giustiniani 5 a Roma, ma con scarso successo. 

Il silenzio imposto dal Regime sulla sua opera – 50 anni di lotta per i diritti di Fiume, 24 anni di esilio, 2 condanne a morte e 20 attentati – aveva azzerato il suo ricordo tra i fiumani. Morì in povertà nel Campo Profughi di Trastevere nel  1959.

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