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Diritti umani

1 febbraio: la Giornata mondiale del Velo Islamico

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Tempo di lettura: 3 minuti

Il 1° febbraio è la Giornata Mondiale del Velo Islamico, istituita dalla bangladese Nazma Khan e osservata in diverse comunità musulmane e bosniache.

 di Damiana Cicconetti

Il 1° febbraio è la Giornata Mondiale del Velo Islamico, istituita dalla bangladese Nazma Khan e osservata in diverse comunità musulmane, incluse quella bosniaca.

Di certo, è opportuno fare un distinguo, perché spesso si parla di velo confondendo burqa, hijab o altri tipi di coperture per il viso femminile.

 Hijab è, in effetti, il velo che copre la sola testa e il collo, lasciando il viso della donna scoperto; tale velo è in uso soprattutto in Tunisia.

Il burqa, invece, è l’abito islamico che cela maggiormente il viso, perché copre anche gli occhi ed è usato prevalentemente in Egitto.

Infine vi è il niqab, diffuso nella maggior parte dei Paesi del mondo arabo come Yemen, Arabia Saudita e Kuwait: ben diverso dal burqa perché copre il viso, lasciando libera solo una piccola parte attorno agli occhi.

Sta di fatto che il velo è parte dell’Islam.

Perciò se, effettivamente, si dispone di fede e determinazione la donna accetta liberamente di indossarlo.

Di contro è laddove la donna è costretta, suo malgrado, a farne uso che la questione cambia totalmente.

Dunque l’obiettivo della Giornata dedicata al Velo Islamico, o World Hijāb Day, è quello di sensibilizzare le persone sulle modalità di tale usanza.

Perché – va ribadito! – indossare lo ḥijāb deve essere una libera scelta, non certo un obbligo.

Né, con l’occasione, può essere dimenticato il fatto che, oltre al velo, esistono diverse altre condotte, per non dire “orride usanze” oltremodo barbare, ben più mortificanti per la figura femminile e che, ad onore del vero, costituiscono veri e propri reati, meritevoli di essere condannati, giuridicamente ma, prima ancora, moralmente.

Ci si riferisce ad ogni forma di imposizione ai danni di una donna: da combattere ed eliminare!

Non a caso, abbiamo avuto modo di verificare cosa, talvolta, accade a chi si rifiuta di andare in sposa ad un marito che non ama e neppure conosce ma che gli viene imposto da padri-padroni.

O, ancora, non può essere sottaciuto quel che è capitato a giovani donne musulmane che hanno deciso di indossare abiti ed usanze tipicamente occidentali.

D’altro canto non si può non considerare che vi sono donne che rivendicano il diritto di indossare il velo ed è proprio per tutelare questo diritto che è stata istituita questa giornata.

…Una ricorrenza nata a rappresentazione del diritto ad indossare il velo.

E non vi è dubbio che indossarlo solo ed unicamente per imposizione degli uomini e quale forma di controllo è inconcepibile ed intollerabile.

Del tutto sbagliato, quindi, approfittare dell’istituzione di questa Giornata per imporre la propria volontà di sottomissione delle donne, così capovolgendo e dolosamente mal interpretando il significato della ricorrenza.
Da ciò non è potuta non conseguire una accesa diatriba tra le donne che affermano che chi indossa lo ḥijāb volontariamente rischia di mettere in secondo piano la prepotenza esercitata sulla maggior parte di tutte le altre.

Proprio per questo motivo è nato il #NoHijābDay, da intendere come dura risposta alla stessa Giornata Mondiale del Velo Islamico: se da un lato, infatti, vi sono donne che esibiscono fiere il proprio velo, dall’altra ve ne sono molte altre che vi si oppongono duramente.

Pura propaganda!“: si sente urlare da ogni angolo del mondo. E ad urlare devono essere proprio le donne che hanno sperimentato sulla loro pelle la costrizione e l’umiliazione, e pertanto, non possono fare a meno di ribellarsi strenuamente.

Così, per promuovere la loro opposizione, queste ultime hanno invitato tutti a condividere la foto di un foulard appeso ad un bastone, per rievocare l’immagine dell’attivista iraniana Vida Movahed che, sfidando il regime, si è tolta – o meglio, “ha osato togliersi…” direbbe qualcuno – il velo in strada.

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