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Politica

STEFANO RODOTÀ: il coraggio della coerenza e dell’indipendenza

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Studioso e paladino dei diritti umani fondamentali, Rodotà, testimoniò nei fatti un alto senso dello Stato e del rispetto verso gli altri, ciò che Voltaire, semplicemente, chiamava il “dovere di dare il buon esempio” per tutti quanti hanno un ruolo pubblico

di Antonio Virgili

Presidente Commissione Cultura della LIDU

 

Uno dei modi migliori per onorare la memoria ed i principi ispiratori di persone che non sono più tra noi è forse quello di raccoglierne l’eredità continuandone il cammino, condividendone lo spirito ed i valori, rendendoli ancora vivi e presenti nel tempo. E’ quanto si spera accada con Stefano Rodotà, felice connubio di intellettuale rigoroso, fedele ai propri principi ed attivo e concreto cittadino, che scende in campo per sostenere le proprie idee, sempre conservando la propria indipendenza. Connubio purtroppo raro nella deriva di degrado progressivo che percorre la società italiana ove oramai, come lo stesso Rodotà sottolineava: “C’è un impoverimento culturale che si fa sentire, la cattiva politica è figlia della cattiva cultura”. Ed ancora sosteneva: “Se si pensa che vi sono emergenze che devono essere fronteggiate con forte spirito politico, e il degrado culturale lo è al massimo grado, bisogna essere chiari e necessariamente polemici”.

Purtroppo anche il senso della polemica mirata sembra essersi perso, sostituito da chiassate indecorose nelle quali molti dei limiti della società e della cultura contemporanea emergono impietosamente. Specialmente nell’arena politica, dove spesso fiumi di parole prive di reale contenuto inondano i mezzi di comunicazione nel solo tentativo di “orientare” l’elettorato o cercare facili consensi. Del resto, già Montanelli le definiva “risse da pollaio”. Impoverimento a tutti i livelli, a cominciare dalle organizzazioni specifiche destinate alla formazione dei cittadini. Si, perché, sebbene oramai dimenticato, a favore di pseudo “competenze” e fumose metodologie didattiche dalle denominazioni sempre più anglosassoni (ulteriore conferma dell’impoverimento linguistico), la scuola dovrebbe formare anche dei cittadini oltre che dare contenuti qualificanti ai futuri lavoratori, a volte solo “aspiranti lavoratori” per lunghi anni. Altrettanto dovrebbe fare, ma certo in misura solo secondaria, l’università, più mirata a specifiche acquisizioni professionali ma pur sempre investita del ruolo di “formare la classe dirigente del paese”.

Rodotà nel 2016 firmò, assieme ad altri intellettuali, un articolo-denuncia sull’università nel quale si affermava che: “In Italia l’Università è da tempo un malato grave, abbandonato a se stesso e devastato dalle «riforme» degli scorsi decenni, sino alla esiziale riforma Gelmini: cure ispirate a una ideologia aziendalistica e peggiori dei mali che dovrebbero guarire. Molti di questi mali sono noti: servilismo e mercimonio, corruzione e clientelismo. Altri costituiscono fenomeni relativamente recenti, come la precarietà dei giovani ricercatori e una esasperata competizione su risorse e carriere.” Il MIUR, Ministero che non è più dell’“istruzione pubblica” (espressione evidentemente considerata non al passo con i tempi, ma certo ricca di implicazioni) continua, ad ogni nuovo Ministro o Presidente del Consiglio, a proporre strabilianti riforme, forse destinate a rendere imperituro il nome del proponente, ma che spesso trasformano solo in senso peggiorativo e che di strabiliante hanno, di fatto, solo il nome, come “la buona scuola”.

Durante i ripetuti tentativi di trasformare la scuola si continua comunque a finanziare, in modo consistente, l’istruzione privata, con l’alibi di un garantismo di eque opportunità che in realtà è solo abdicazione rispetto alle proprie funzioni, prerogative e doveri. Rodotà era tra coloro, sempre di meno invero, che hanno avuto il coraggio di dichiarare esplicitamente tale finanziamento una “azione incostituzionale”. Ricordando pure ai tanti mediocri, interessati solo a raccogliere consensi nell’area cattolica, che: “Una cosa è attribuire rilevanza alla religione nella sfera pubblica, altro è la pretesa di riconoscere ad essa una sorta di monopolio dei valori.” Affermazione che trova la LIDU particolarmente sensibile, essendo essa stessa trasmettitrice e portatrice di valori giuridici ed etici. Attento studioso delle nuove tecnologie telematiche, Rodotà ne ha colto pericoli ma anche potenzialità. Infatti la tecnologia offre alle nuove generazioni possibilità prima riservate a pochi, riducendo alcuni costi, potenzialmente avvicinando le persone, consentendo scambi e confronti, proprio quei confronti con altre idee e culture, che sono requisito fondamentale per la democrazia. Infatti, sottolineava che: “Una delle virtù della democrazia, ineliminabile, consiste nel fatto che ciascuno deve essere esposto alla maggior quantità possibile di opinioni diverse.” Tuttavia, anche queste potenzialità vanno in qualche misura guidate e garantite, devono restare libere: “L’accesso alla conoscenza va garantito nella maniera più larga. Qui le grandi opportunità offerte dalla tecnologia, dalla creazione di quell’immenso spazio pubblico che è Internet, rappresentano una risorsa grande per la crescita della persona, e in relazione a ciò devono trovare la loro misura.”

Ma, è questa la direzione verso la quale ci si muove? Le organizzazioni delegate alla formazione delle nuove generazioni, anzitutto scuola ed università, rispettano tali criteri? Rodotà fu fortemente critico pure verso le recenti innovazioni legate alla dirigenza scolastica che definì come aventi una logica solo di “centralizzazione del potere”. Una ulteriore progressiva irregimentazione dei docenti, delle attività didattiche e dei loro contenuti; evento quasi giustificabile se, contrariamente ad altre affermazioni di un ex Primo Ministro che elogiavano il merito e la qualità, si sono invece immessi in ruolo migliaia di nuovi docenti senza alcuna effettiva selezione qualitativa ed attitudinale. Persone che, in vari casi, provenivano da altre attività lavorative precarie o meno garantite e che miravano principalmente ad acquisire relativi vantaggi personali, certo umanamente leciti, ma ben distanti dalla tanto declamata qualità ed attitudine. Se il dipendente del settore privato è, non di rado, sottoposto a pressioni dirette, per non dire peggio, perché non introdurre la stessa logica, mascherata in pseudo premiale, anche nell’istruzione scolastica? Pure Rodotà aveva già più volte ammonito che: “Chiunque metta nelle condizioni una persona, non solo un lavoratore, di non essere libero ma di essere impaurito, attenta alla democrazia”.

Ciò avviene tradendo, ancora una volta, i principi che dovrebbero animare l’istruzione pubblica, di tipo inclusivo ma anche giustamente selettiva, che non metta i migliori al livello dei peggiori, come sempre più sembra verificarsi (una sorta di assistenza sociale monca, incentrata solo sui casi problematici), ma viceversa, che sostenga, promuova e migliori le persone ed i comportamenti. Efficace, ancora una volta Rodotà quando affermava: “La conoscenza è la via non solo per acquisire valore aggiunto sul mercato, è in primo luogo la libera costruzione della personalità di ciascuno di noi. ” Diversamente da molti, Rodotà non nascondeva che: “ Un principio inaccettabile è la riduzione della persona a homo oeconomicus, che si accompagna all’idea di mercato naturalizzato: è il mercato che vota, decide, governa le nostre vite. Ne discende lo svuotamento di alcuni diritti fondamentali come istruzione e salute, i quali non possono essere vincolati alle risorse economiche. Allora occorre tornare alle parole della triade rivoluzionaria, eguaglianza, libertà e fraternità, che noi traduciamo in solidarietà: e questa non ha a che fare con i buoni sentimenti ma con una pratica sociale che favorisce i legami tra le persone.

Non si tratta di ferri vecchi di una cultura politica defunta, ma di bussole imprescindibili. Alle quali aggiungerei un’altra parola-chiave fondamentale che è dignità”. Appello che non dovrebbe riguardare solo quanti si riconoscono in orientamenti di sinistra, in senso lato, ma anche quanti si ispirano ai principi laici ed a quelli tracciati dall’illuminismo. Egli ribadiva che: “I diritti fondamentali si pongono a presidio della vita, che in nessuna sua manifestazione può essere attratta nel mondo delle merci”. O, si potrebbe anche dire, che non devono essere subordinati alle logiche del mondo delle merci. Ciò comunque non spinse Rodotà a chiudersi nella fortezza accademica delle verità assolute, bensì, come ebbe modo di affermare: “Nel 1994 ho deciso di non candidarmi più. Con l’avanzare del degrado culturale ho maturato un distacco non dalla politica, perché ho continuata a farla in tutti i modi possibili, ma dai partiti. Di fronte all’involuzione dei partiti, non c’era solo l’antipolitica ma un’altra politica che andava riconosciuta. Nasce da qui la mia attenzione verso i movimenti.”

Quelle forme molteplici di aggregazione quali associazioni, centri culturali e sociali, gruppi di opinione, ecc. che non dovendo difendere posizioni di potere, od acquisirne di nuove, meglio potrebbero esprimere bisogni e necessità oramai trascurati da una parte della politica e dello stesso Stato. Alcuni decenni di intensa propaganda a favore delle liberalizzazioni e dello Stato cosiddetto “leggero”, cioè che limita sempre più le proprie funzioni, stanno infatti consegnando a logiche privatistico economiche molte attività e diritti fondamentali, quali appunto quelli della istruzione e della salute. Per chi sostiene la difesa dei diritti umani, non si può dimenticare una delle recenti battaglie nelle quali Rodotà si spese: quella contro la riforma della Costituzione, riforma considerata approssimativa e riduttiva di diritti e tutele e che è stata poi ampiamente bocciata dal referendum. A fronte di un ex Presidente del Consiglio che per oltre un anno aveva realizzato ininterrotta propaganda, in Italia ed all’estero (!!), a favore di una riforma della Costituzione dalla sigla molto personale, nella presunzione di essere un nuovo statista-fondatore della Patria, Rodotà ammoniva che : “Se noi passiamo dal governo della legge al governo degli uomini, noi distruggiamo il fondamento della democrazia”.

Presenzialismo e personalismo dilagante, identificazione dei movimenti politici con singole persone più che con idee ed obiettivi (si pensi alla tendenza ad associare sempre più il logo dei raggruppamenti al nome del politico-guida e/o al suo ritratto), con una acuta osservazione di contenuto sociologico Rodotà collegava tali tendenze sia alle tecnologia che alla rappresentazione sociale collettiva, cioè all’immagine che la società costruisce di se stessa. “La nostra rappresentazione sociale è sempre più affidata a informazioni sparse in una molteplicità di banche dati, e ai «profili» che su questa base vengono costruiti, alle simulazioni che permettono.” Temendo quindi: “il rischio di una sorta di blocco del pensiero, della voglia e della capacità di dare risposte sociali a fenomeni sociali, con un affidarsi cieco al ready made, alle soluzioni già pronte e offerte con larghe promesse da un arsenale tecnologico sempre più ricco.” Non solo valido studioso e paladino dei diritti umani fondamentali, Rodotà, testimoniò nei fatti un alto senso dello Stato e del rispetto verso gli altri, ciò che Voltaire, semplicemente, chiamava il “dovere di dare il buon esempio” per tutti quanti hanno un ruolo pubblico.

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