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Diritti umani

Il Pallone e la Parola della Discordia

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Tempo di lettura: 5 minuti

Le feste di fine e inizio anno non sono sempre nel segno del futuro, ma spesso il passato si fa sentire con ricordi che hanno dato forma alla propria vita.

Ogni vita è unica ma ci sono temi e incidenti che altri hanno condiviso che ci fanno ricordare che il mondo che conosciamo cambia sempre anche se certe cose, ahinoi, non cambiano mai. Così una chiamata internet natalizia ha aiutato a ricordare la gioventù di un figlio di emigrati che dimostra quanto il carattere umano sia lento a cambiare.

Cattolici contro protestanti

Passavamo spesso davanti quella scuola quando andavamo a visitare amici e parenti in un’altra parte della città di Adelaide in Australia. Il suo cancello enorme sembrava l’entrata di un palazzo ducale e potevamo vedere campi sportivi per ogni genere di sport e i vari palazzi erano in uno stile che ti saresti aspettato da un collegio inglese che vedi nei film. Infatti era una delle scuole più prestigiose della città che all’epoca era quasi esclusivamente riservata alle famiglie protestanti, soprattutto benestanti e potenti, della citta. Ancora oggi aver frequentato quella scuola vuol dire avere un futuro garantito nell’establishment dello stato.

Ma non pensavo a questo quella mattina che mi trovavo a entrare dal cancello. Studiavo in un collegio cattolico, come quasi tutti i figli di emigrati italiani in Australia che se lo potevano permettere, e mi ci trovavo per giocare una partita di pallacanestro. Eravamo sbalorditi dalla grandezza della scuola e gli impianti sportivi, ma i miei compagni australiani restarono di stucco a scoprire che l’allenatore dell’altra squadra era un loro eroe, il vice capitano della nazionale australiana di cricket dell’epoca. Non so se questo sia stato il motivo, ma a metà tempo eravamo in vantaggio e io avevo fatto un gran numero di punti.

Perciò, all’inizio del suo tradizionale discorso il nostro allenatore mi ha semplicemente detto di continuare a giocare cosi e che potevo rilassarmi mentre parlava con gli altri. Ho deciso di avvicinarmi all’altra squadra per vedere come si comportava l’altro allenatore e sono arrivato in tempo per sentirgli dire in un tono molto arrabbiato, “Keep a close check on that wog bastard he’s killing us!” (Controllate bene quel bastardo di wog, ci sta massacrando). In quel momento qualsiasi rispetto che avevo per l’eroe sportivo dei miei amici è sparito con l’uso della parola che utilizzavano contro noi emigrati del Mediterraneo e che per molti anni era stata spesso causa di baruffe a scuola, prima e dopo quell’incidente, tra figli di emigrati e i nostri coetanei australiani. Alla fine i suoi difensori non  sono riusciti a fermarci e abbiamo vinto. Per motivi ovvi a chi legge, è la partita più importante nella mia mente per i decenni da allora.

Pochi mesi dopo nelle classi di Storia quando abbiamo studiato la Riforma e la Controriforma e soprattutto il ruolo del re inglese Enrico VIII ho cominciato a capire il motivo delle grandi differenze tra i collegi protestanti e quelli cattolici in Australia.

Ma già ben prima di quel giorno i campi sportivi mi avevano insegnato che le barriere rappresentate da quella parola erano parte fondamentale della vita della mia generazione.

Wogball

 Perché giocavo a pallacanestro e non il calcio? Il motivo era semplice e diceva molto di una certa mentalità che non è mai sparita nel paese da allora. Alla mia scuola non c’erano squadre di calcio e non potevamo nemmeno portare un pallone rotondo per giocare nei campi sportivi durante le pause delle giornate scolastiche.

Per i nostri coetanei, il calcio non era football, o soccer come lo chiamano gli australiani, ma semplicemente “Wogball” e quindi non degno di una australiano “vero”. Il sabato pomeriggio andavo con mio padre a guardare la Adelaide Juventus, ma durante la settimana non potevo toccare un pallone di calcio.

Da qui è nata la mia ribellione personale e ho deciso di non giocare il football australiano e il cricket perché erano i simboli degli sport britannici e mi sono dedicato alla pallacanestro.

La scuola ha finalmente cambiato la sua politica verso il calcio quando ormai stavo per finire gli studi e avevo già 18 anni. La decisione era venuta dopo anni di proteste da parte di genitori non “australiani”, ma non venne dal risultato della proteste di per se, ma dalla scoperta di alcuni genitori che i figli dell’insegnante responsabile per il bando del calcio lo giocavano nelle loro scuole. Questa ipocrisia è stata il catalizzatore dell’introduzione del calcio a scuola.

Per me era troppo tardi, ma la mia decisione è stata di diventare arbitro, così potevo finalmente avere un ruolo nello sport che seguo ancora oggi.

Parola, offesiva o no?

Qualche settimana fa nella pagina Facebook dedicata agli Italiani ad Adelaide e utilizzata da molti giovani che ora ci vanno per working holidays, qualcuno ha chiesto agli altri cosa pensavano della parola wog. Le reazioni sono state molteplici: molti che la consideravano una semplice parola che non poteva offendere. Ma pochi di loro sapevano la storia della parola.

Nel corso degli anni la parola ha cambiato significato perché proprio da noi figli di immigrati ce ne siamo appropriati per definirci come australiani figli di immigrati del Mediterraneo. Questo cambio è avvenuto in seguito alla creazione di una categoria di comici di seconda generazione, inizialmente greci, per poi includere italiani e le altre nazionalità, per ricordare le nostre esperienze personali. Infatti, malgrado le differenze di tradizioni tra greci e italiani, poi non così diverse dalle nostre, abbiamo capito che le discriminazioni che abbiamo subito non erano verso ogni individuo, come pensavamo a scuola, ma verso tutta la nostra generazione, partendo dai soliti inevitabili e spesso offensivi luoghi comuni. Abbiamo abbattuto il dolore delle nostre esperienze con le risate.

Allora, come reagiamo alla parola wog?  Dipende dalle esperienze personali, ma soprattutto da chi la usa e come. Detto tra di  noi è il simbolo delle nostre origini e perciò delle nostre differenze dagli “altri”. Però, detto da anglosassoni e secondo il tono e il contesto la parola è ancora capace di far arrabbiare chi ha sentito sulla propria pelle gli effetti delle discriminazioni e le barriere rappresentate dalla parola.

Siamo tutti figli di due genitori e questo si estende anche alla nostre origini. Effettivamente chi nasce da immigrati vive in due mondi, con le usanze e le tradizioni della famiglia tra le pareti della casa e con le interazioni con parenti e paesani/connazionali e poi vive anche nel mondo del paese di residenza con le sue usanze e tradizioni. In effetti questa vita è un continuo scambio culturale.

Nuove Culture

Da entrambe le parti di questi scambi culturali esistono coloro che non accettano i mutamenti nel loro modo di vivere. Ma per la grande maggioranza dei casi il risultato è il cambio e lo scambio delle rispettive culture che avviene quando si accettano il meglio di entrambe, e nel caso dei paesi di residenza da parte di tutti i gruppi che ora ne fanno parte. Il risultato è indubbiamente una cultura molto più ricca di quella prima.

Si, ora puoi chiamarmi wog e rispondo con un sorriso perché un italo-australiano per definizione è un proprio un wog. Ma guai a chi cerca di utilizzarla come fece quell’allenatore di pallacanestro perché non avrebbe il risultato che si aspetta…

 

 

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